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Intervista esclusiva a Francesco Fiumarella: Autore e Direttore "Vince Award" che premia la meritocrazia

 


1. Sig. Fiumarella, qual è stato il percorso artistico e di formazione che l’ha portata a seguire la passione della recitazione?

Salve, e grazie per questa vostra intervista. Il mio percorso artistico è iniziato molto presto, spinto da una passione autentica per il teatro, il cinema è arte in ogni sua forma che mi accompagna sin da bambino. La mia prima esperienza davanti alla macchina da presa risale a quando avevo 5 anni, in uno spot con Paolo Bonolis dedicato a Brescello, il paese in cui ho trascorso 17 anni della mia adolescenza, noto per essere stato il set dei celebri film di Peppone e Don Camillo. In quel contesto, per un intero mese, ho vissuto immerso in un vero e proprio set cinematografico. È stato impossibile non innamorarmi del mondo della recitazione.

Durante gli anni delle scuole medie presso i Salesiani di Parma, ho avuto le prime esperienze teatrali grazie all’intuizione di un professore che seppe cogliere le mie inclinazioni artistiche. Ho poi proseguito gli studi al liceo classico europeo "Maria Luigia" di Parma e successivamente ho terminato gli studi liceali a Roma. Mi sono iscritto prima alla Facoltà di Giurisprudenza, come base per una carriera parallela a quella artistica, e poi alla Facoltà di Arti e Scienze dello Spettacolo dell’Università La Sapienza. Qui ho potuto approfondire le mie conoscenze teoriche e culturali nel campo cinematografico.

Nel frattempo, insieme a un amico regista, ho preso parte come attore protagonista a diversi suoi cortometraggi. Da questa collaborazione è nata una casa di produzione indipendente. In quegli anni ho avuto l’opportunità di studiare con un’attrice straordinaria come Imma Piro, e di partecipare a circa quaranta progetti tra cortometraggi, fiction televisive e produzioni cinematografiche.

Queste esperienze mi hanno permesso di comprendere in profondità non solo l’aspetto artistico della recitazione, ma anche le dinamiche industriali del settore: dai meccanismi interni alle opportunità, fino alle contraddizioni, come il sistema delle raccomandazioni e delle lobby.

Pur avendo lavorato molto come attore, non ho mai sentito il bisogno di ostentare ciò che ho fatto. Mi è sempre piaciuto rimanere con i piedi per terra, mantenendo un profilo basso. Ancora oggi, capita che qualcuno mi scriva dopo avermi visto per caso in una fiction dicendomi: “Ma dai, eri tu?”, ed è proprio così che ho sempre vissuto la recitazione, con discrezione. A differenza di chi si sente Al Pacino dopo una comparsata o una figurazione speciale, ho sempre preferito lasciar parlare il lavoro. Ho cercato di essere trasformista, poco riconoscibile da un ruolo all’altro, e non ho mai voluto un nome d’arte: ho sempre portato avanti il mio percorso con autenticità.

Nonostante i riconoscimenti e gli incoraggiamenti ricevuti, “sei bravo”, mi dicevano, non ho mai avuto l’intenzione di proseguire stabilmente su quella strada. Ho sempre saputo che il mio vero obiettivo era un altro: costruire una carriera diversa, coerente con il mio stile di vita e le mie convinzioni personali.

La recitazione è stata una fase fondamentale del mio percorso: desideravo con tutto me stesso lavorare in progetti televisivi e cinematografici, e una volta realizzato quel sogno, ho deciso di fermarmi. È stata un’esperienza formativa, che oggi continuo a vivere da un’altra prospettiva, dietro le quinte, dedicandomi alla ricerca e alla valorizzazione di nuovi talenti. Oggi lo faccio con passione nel ruolo di talent scout e Direttore Artistico del "Vince Award".


2. Da dove è nata la sua profonda missione di promuovere e difendere la meritocrazia nel mondo dello spettacolo?

La mia visione nasce da ciò che ho vissuto in prima persona, da ciò che ho visto con i miei occhi e toccato con mano. In Italia, purtroppo, fare l’artista senza appoggi o raccomandazioni equivale spesso a percorrere una strada disseminata di ostacoli. Ho conosciuto queste dinamiche e ho scelto, consapevolmente, di non diventarne complice.

Dal 2006 parlo apertamente di quello che oggi, finalmente, molti iniziano timidamente a denunciare: il famigerato “circolo magico”, il sistema delle segnalazioni, l’accesso selettivo riservato a chi appartiene a determinati ambienti. Non è una novità, è solo che ora fa comodo ammetterlo.

Non so se riuscirò a cambiare le cose, ma so con certezza che non resto in silenzio. Attraverso il Premio Vincenzo Crocitti International, da anni do visibilità a quegli artisti che il sistema preferisce ignorare. Alcuni di loro sono oggi volti noti al grande pubblico: una conferma che il talento, se riconosciuto e valorizzato, può emergere. Basta saperlo vedere.

La meritocrazia, in Italia, resta una parola elegante svuotata di significato. Qui si premia l'appartenenza, non l'eccellenza. E mentre molti preferiscono lamentarsi del sistema in privato, io ci metto la faccia. Tanti attori e attrici non noti non denunciano certe logiche per paura di non lavorare. Ma mi chiedo: paura di cosa, se già non vi chiamano? O vi chiamano solo per ruoli marginali, quasi da comparsa?

Poi ci si stupisce se vediamo sempre gli stessi volti in televisione o sul grande schermo. Ma il problema non è la mancanza di talento: è la mancanza di coraggio, di onestà, e di volontà nel rompere certi schemi.


3. Com'è diventare fondatore e direttore artistico del Premio Vincenzo Crocitti?

Diventare Autore, Direttore Artistico e Direttore Generale del Premio Vincenzo Crocitti International è stato, prima di tutto, un atto di coraggio e di profonda tenacia. Quando ho fondato il Premio, avevo appena 28 anni e pochi credevano che potesse davvero raggiungere una rilevanza nazionale e internazionale. In molti, infatti, storcevano il naso: consideravano il nome Vincenzo Crocitti poco “altisonante”, non paragonabile – secondo certi criteri – a icone come Alberto Sordi o Vittorio De Sica.

Ma io ho voluto, insieme al Comitato che da sempre mi affianca, fare una scelta controcorrente: valorizzare una figura che il pubblico conosceva sì nel volto, ma non abbastanza nel nome. Rischiare è stata una scelta consapevole, perché credevamo nel valore umano e professionale di Crocitti. E oggi possiamo dire, con orgoglio, di essere riusciti a trasformare quel rischio in uno dei Premi più ambiti e rispettati in Italia.

Senza alcun appoggio politico, senza scorciatoie, solo con le nostre forze, abbiamo costruito qualcosa di autentico. Ho scelto di circondarmi esclusivamente di collaboratori onesti e umili, persone che condividessero lo spirito originario del Premio: lo stesso spirito semplice e genuino che ha sempre contraddistinto Vincenzo Crocitti. È stata una scelta di cuore, ma anche di responsabilità.

Il Premio Vincenzo Crocitti International non è soltanto un riconoscimento artistico: è una dichiarazione d’intenti. Un gesto concreto per contrastare le logiche distorte di questo ambiente, dove troppo spesso il merito è oscurato dalla convenienza, dalle segnalazioni, dai legami di potere.

Attraverso il Premio ho potuto proseguire anche il mio percorso artistico, pur restando dietro le quinte. Non è stata rinuncia né mancanza di ambizione: al contrario, ho trovato maggiore gratificazione nel valorizzare chi merita davvero. Nell’attività di direzione ho trovato una forma d’espressione piena, quasi una missione. Una missione che porto avanti con coerenza e determinazione.

E lo faccio anche per onorare la memoria di Vincenzo Crocitti: un artista autentico, umano, che il tempo rischiava di cancellare troppo in fretta. Se oggi molti lo ricordano, è anche grazie a questo Premio, che ogni anno rinnova il suo nome con rispetto e sincerità.

4. Che legame personale o artistico l’ha spinta a intitolare questo premio proprio a Vincenzo Crocitti?

Vincenzo Crocitti era un amico. Un vero amico. Con lui ho condiviso momenti semplici ma profondi, che hanno lasciato un segno indelebile nel mio percorso umano e artistico. Fu uno dei primi a darmi consigli sinceri su come affrontare questo mestiere con passione, ma soprattutto con i piedi ben piantati a terra. Ricordo ancora con grande affetto il nostro primo incontro a Piazza Mazzini, a Roma, dove ci vedemmo per un aperitivo.

Come molti, lo conoscevo per i suoi ruoli televisivi in serie come Carabinieri e Un medico in famiglia, e naturalmente per quel capolavoro che è Un borghese piccolo piccolo, che gli valse il David di Donatello Speciale nel 1978. Per me, giovane attore poco più che ventenne, lui era una star. E come capita spesso, mi aspettavo il classico atteggiamento distaccato o altezzoso. Invece arrivò con una Porsche malconcia, scese sorridendo e mi venne incontro con la semplicità di un vecchio amico. Ci mettemmo subito a scherzare, a ridere. Aveva un’umiltà disarmante, rara. E stava già male, ma non lo lasciava trasparire: era sempre sorridente, presente, generoso.

Dopo la sua scomparsa, era impossibile per me non pensare a un modo per onorarlo. Intitolargli un Premio è stato un gesto naturale, quasi inevitabile. Non solo perché era un grande attore, ma perché rappresentava quel tipo di artista che oggi andrebbe ricordato più spesso: popolare, ma mai populista; talentuoso, ma mai arrogante. Ha lavorato con giganti come Sordi, Banfi, Gassman, eppure è sempre rimasto “uno di noi”, senza mai lasciarsi travolgere dalla vanità del mestiere.

Quando ho immaginato un Premio che potesse valorizzare il talento, certo, ma anche la persona, lui è stato il primo nome che mi è venuto in mente. Il Premio Vincenzo Crocitti International è nato così: da un sentimento di gratitudine, di affetto, e dalla volontà di preservare la memoria di un uomo che ha dato molto, senza mai pretendere nulla in cambio.

Purtroppo, come spesso accade, dopo la sua morte in tanti hanno smesso di ricordarlo. Ma io ho scelto consapevolmente di non permettere che ciò accadesse. Questo Premio è anche un atto d’amore. Un gesto sincero per tenere viva la sua figura, non solo come attore, ma come essere umano straordinario.

 

5. Come è cambiato nel tempo il "Premio Vincenzo Crocitti International – Vince Award" e quale valore ritiene sia stato il più importante nel selezionare e premiare gli artisti nel corso degli anni?

Il Premio Vincenzo Crocitti International è nato con un intento ben preciso: valorizzare gli artisti emergenti, offrendo loro un riconoscimento che, con ogni probabilità, nessun altro avrebbe dato. L’idea era dare visibilità e dignità a chi, pur avendo talento, veniva sistematicamente ignorato da un sistema spesso chiuso e autoreferenziale.

Con il tempo, però, abbiamo sentito l’esigenza di ampliare questa visione. Abbiamo così deciso di aprirci anche agli artisti esordienti, agli artisti in carriera e, infine, ai grandi interpreti alla carriera. Un gesto dovuto, per evitare che venisse dimenticato tutto ciò che molti di loro hanno dato all’arte, alla cultura e allo spettacolo in Italia.


Ma il nostro comitato, da sempre, lo ribadiamo con fermezza: non premia solo il talento professionale, bensì anche e soprattutto il valore umano. Cerchiamo persone umili, autentiche, coerenti con lo spirito del Premio e con l’eredità morale lasciata da Vincenzo Crocitti.

Purtroppo, nel tempo, abbiamo dovuto constatare che non tutti gli artisti premiati si sono dimostrati vicini al nostro modo di pensare. Alcuni, pur avendo talento, hanno mostrato atteggiamenti distanti dal nostro codice etico, rivelandosi, umanamente, incompatibili con i valori che il Premio rappresenta.


Ovviamente non possediamo una “lampada di cristallo”: non premiamo raccomandati né volti costruiti a tavolino, e quindi non sempre possiamo conoscere a fondo le persone che onoriamo. Ma quando nel tempo emerge una distanza insanabile dai principi su cui si fonda il Premio, consideriamo quel riconoscimento come simbolicamente annullato. Chi legge sa a chi mi riferisco: ognuno ha la propria coscienza, e noi la nostra coerenza.

Durante la pandemia, in uno dei periodi più bui per il mondo dell’arte e dello spettacolo, ho scelto di non fermare il Premio, anzi. Nel 2020 e nel 2021, insieme al comitato, abbiamo premiato oltre 200 artisti a distanza, consegnando attestati con lo stesso valore simbolico e morale delle premiazioni in presenza. Molti di loro stavano perdendo la speranza, rinunciando al proprio lavoro, e noi abbiamo cercato , con un gesto semplice ma concreto, di ridare motivazione e dignità a quelle storie professionali.

Eppure, anche in quel contesto, alcuni premiati hanno deluso. Invece di mostrare riconoscenza, si sono lamentati dell’assenza della famigerata “coppa”, ignorando del tutto il significato del riconoscimento ricevuto. Non hanno capito di essere entrati nella storia di un Premio che è riconosciuto a livello internazionale, una sorta di “laurea artistica”, che ha l’obiettivo di restituire valore alla persona prima che al personaggio.

A queste persone oggi non do più alcuna importanza, né alcuna attenzione. Il Premio va avanti, con chi davvero lo comprende e lo rispetta. Sempre.

 

6. Secondo lei, cosa manca oggi al cinema italiano e a quello internazionale per riuscire a competere e riconquistare un posizionamento di rilievo a livello globale?

"Manca oggi, nel panorama cinematografico italiano, il coraggio di osare, di superare le logiche autoreferenziali del mercato e della visibilità. Si investe con eccessiva prudenza in ciò che appare sicuro, trascurando invece ciò che è davvero necessario per una rifondazione culturale del settore. Il cinema dovrebbe tornare ad essere una forma d’arte capace di raccontare storie vere, di commuovere, di denunciare, di trasmettere valori profondi e duraturi.

Un tempo, l’Italia era un punto di riferimento assoluto: ha scritto pagine fondamentali nella storia del cinema mondiale. Le nostre opere venivano osservate, studiate e imitate persino da Hollywood, che guardava al nostro neorealismo, alla nostra audacia narrativa e alla ricchezza stilistica come a una fonte d’ispirazione inesauribile. Oggi, al contrario, accade spesso che l’industria americana venga a girare in Italia solo per motivi logistici o economici, sfruttando il nostro straordinario patrimonio paesaggistico e architettonico, senza che vi sia un reale riconoscimento o valorizzazione del talento creativo italiano.

Nel frattempo, il nostro sistema sembra incapace di investire in idee nuove, di aprirsi a linguaggi diversi, di offrire opportunità reali al cinema indipendente, agli sceneggiatori emergenti, ai giovani autori. L’attenzione è concentrata su dinamiche di business, marketing e profitto immediato, spesso a discapito della qualità. Il risultato è una proliferazione di prodotti deboli, prevedibili, privi di spessore artistico.

Personalmente, trovo sempre più difficile, anche sulle principali piattaforme streaming, individuare film capaci di attrarmi, di sorprendermi, di restare impressi nella memoria, come accadeva con i grandi titoli del neorealismo, o con i capolavori degli anni ’70, ’80 e ’90: opere dense, potenti, costruite su sceneggiature solidissime, su scelte estetiche radicali e visioni forti. Oggi, purtroppo, questi film straordinari sembrano eccezioni isolate, rarità in un panorama dominato dall'omologazione.

È necessario ridare centralità alle idee. Serve una politica culturale che abbia il coraggio di scommettere su progetti innovativi, che sappia riconoscere e valorizzare le scritture forti e originali. La sceneggiatura, fondamento stesso di un buon film è oggi una risorsa sempre più rara e trascurata. Eppure è proprio da lì che dovrebbe ripartire il rinnovamento. Solo restituendo dignità e spazio all’arte del racconto, alla visione autoriale, alla pluralità dei linguaggi, potremo restituire al cinema italiano quel respiro internazionale e quella forza creativa che, in passato, lo hanno reso grande nel mondo."


7. Sappiamo che lei è un grande ammiratore dell’attore Leonardo DiCaprio. Oltre a lui, a quali figure o menti si ispira nella sua vita e nel suo lavoro creativo e culturale?

"È vero, nutro da sempre una profonda ammirazione per Leonardo DiCaprio, non solo per il talento straordinario che ha dimostrato nel corso della sua carriera, ma soprattutto per la sua storia personale. Fin dagli esordi è stato etichettato da molti come un semplice 'bel volto', un attore destinato a rimanere prigioniero di una certa immagine estetica e di un nome poco spendibile nel panorama hollywoodiano. Eppure, la sua traiettoria è stata tutt’altro che semplice: ha dovuto affrontare rifiuti, pregiudizi e momenti difficili, studiando recitazione da autodidatta, con tenacia e disciplina. Ciò che ha costruito negli anni è il risultato di un lavoro profondissimo su sé stesso, e ogni sua interpretazione lo dimostra. Ogni volta che lo vedo recitare, provo un senso di emozione autentica: la sua capacità camaleontica, la precisione, l’intensità… sono qualità rare. Inoltre, trovo ammirevole il suo impegno costante per le tematiche ambientali, una coerenza tra pensiero e azione che gli fa davvero onore.

Detto ciò, al di là di DiCaprio, ammiro moltissimi attori e attrici, sia italiani che internazionali, al punto da avere un elenco infinito che preferisco custodire, proprio per non fare torto a nessuno. Mi ispiro, più che a figure specifiche, a quelle persone che partono da zero e riescono a costruire qualcosa di autentico e solido, rifiutando scorciatoie e rimanendo fedeli alla propria visione. Coloro che non 'vendono fumo', che hanno fatto della coerenza e del rispetto per il proprio percorso la loro cifra stilistica.

Dal punto di vista artistico, non ho mai avuto un modello preciso da seguire. Credo fermamente che ognuno di noi possieda un talento unico e irripetibile, e che il vero obiettivo sia quello di farlo emergere con autenticità. Copiare non mi ha mai interessato, anzi: trovo che l’imitazione sterile sia un gesto povero di contenuto e, in certi casi, persino vigliacco. Ho visto negli anni tentativi maldestri di replicare idee o progetti nati con visione e sacrificio, come ad esempio il 'Premio Vincenzo Crocitti International' o altri format che ho condiviso pubblicamente. Ma chi tenta di appropriarsi di ciò che non ha generato non potrà mai eguagliarne l’essenza, perché la sostanza delle cose autentiche non si improvvisa. Si costruisce nel tempo, con sacrificio, passione e profonda consapevolezza."



8. Quale consiglio darebbe a chi è nuovo del settore e vuole approcciare questo mondo?

"Chiunque desideri avvicinarsi al mondo artistico deve, innanzitutto, avere una predisposizione autentica per uno specifico ambito. Non basta la passione: occorre essere realmente portati, e questo presuppone una profonda consapevolezza delle proprie capacità. È fondamentale, soprattutto agli inizi, intraprendere un percorso di studio serio, strutturato, affidandosi a professionisti competenti e non a chi promette scorciatoie o vende illusioni. Il settore artistico, e in particolare quello dello spettacolo è purtroppo pieno di realtà ambigue, che alimentano sogni senza offrire strumenti concreti.

Per chi aspira a diventare attore o attrice, vale un discorso ancor più delicato: è essenziale agire con cautela, essere lucidi, e avere sempre un piano B. Ma questo vale per tutti gli artisti in generale. Come ho spesso ribadito, l’Italia non è un Paese che premia il merito: il talento, da solo, non basta. I percorsi sono spesso compromessi da logiche clientelari, favoritismi, e dinamiche opache. Non è raro vedere persone di grande valore artistico, anche a 50 o 60 anni, che non sono mai riuscite a esprimersi professionalmente come avrebbero meritato. Non per mancanza di talento o di volontà, ma per colpa di un sistema che esclude piuttosto che includere. E questa, per me, è una ferita aperta.

Ai giovani, consiglio con grande dispiacere, perché credo fermamente nel potenziale creativo del nostro Paese, di considerare l’idea di cercare opportunità anche all’estero. All’Italia non mancano i talenti: mancano le occasioni giuste per valorizzarli. Spesso chi arriva al successo lo fa perché inserito in determinati circuiti, perché “spinto” da dinamiche non sempre trasparenti. È un dato di fatto. Ma proprio per questo invito chi vuole fare arte a non perdere tempo prezioso, a non restare in attesa passiva. Parallelamente al sogno, serve concretezza. Serve anche un altro lavoro, un’altra via, che permetta di sostenersi e di vivere con dignità mentre si costruisce, con pazienza e dedizione, un percorso creativo.

Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ha abbattuto molte barriere d’accesso: oggi è possibile auto-valorizzarsi attraverso i social, i contenuti digitali, i canali indipendenti. Non sprecate questi strumenti per fare trash: utilizzateli per creare contenuti di qualità, per mostrare chi siete veramente. Girate video, reel, cortometraggi, parlate di cultura, di arte, di temi che vi rappresentano. Oggi si può fare cinema anche con uno smartphone , sebbene io continui a preferire il linguaggio classico della macchina da presa, ma l’importante è fare, è creare, è non restare immobili.

Collaborate, unitevi, condividete idee. Non siate in competizione sterile. L’arte non è una gara, ma un linguaggio collettivo. Solo così possiamo dare vita a qualcosa di duraturo e significativo."

Ringraziamo di cuore il Sig. Francesco Fiumarella per l'intervista.

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